Gli anziani le persone più a rischio in questi tre anni di covid. Per la malattia, le difficoltà respiratorie, ma non solo. A preoccupare anche l’ansia, l’apatia, la depressione, le varie regressioni sul piano cognitivo dopo mesi e mesi di isolamento e perdita di socialità.
E invece non è stato sempre così. A dimostrarlo una ricerca portata avanti dall’università di Torino con la professoressa Martina Amanzio in collaborazione con la Scuola Universitaria Superiore e gli Istituti Clinici Scientifici Maugeri di Pavia e di Milano.
A essere analizzati i dati neuropsicologici di una 50ina di partecipanti dell’Unitre – università della terza età prima, durante e dopo la pandemia.
Alla fine si è notato che mantenendosi in attività e stimolando il cervello nel modo giusto, nonostante il lockdown, il distanziamento e la perdita di contatti umani, per la maggior parte dei casi memoria, attenzione e competenza linguistica sono rimasti stabili. Determinanti anche alimentazione e allenamento fisico perché la fragilità fisica ha delle ripercussioni sulla cognitività e sulla competenza emotiva.
E’ la prima volta che in letteratura medica viene dimostrato come lo sviluppo di programmi ad hoc durante la pandemia siano stati determinanti per un invecchiamento sano. In una società che continua a vedere l’età media salire sempre di più – è importante farne tesoro così la professoressa Amanzio e per il futuro si dovrà sviluppare programmi mirati per le persone più fragili.